STORIA DELLE OBLATE di NAZARETH
(ovvero“Amarcord”1 cinquantenario delle Oblate)
by
Bruna Spagnuolo
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La nascita delle Oblate di Nazareth.
Era il lontano 1947. S. E. Monsignor Alberico Semeraro s’insediava nella diocesi di Oria. Le difficoltà erano molte, i servizi da garantire innumerevoli. Il palazzo vescovile abbisognava di cure e di mantenimento, il Seminario e il Santuario di S. Cosimo alla Macchia altrettanto. L’organizzazione religiosa necessitava di efficacia e di disponibilità da coniugare con la tradizione che, per grazia di Dio, ancora conduceva al Santuario folle di fedeli oranti.
C’era nell’aria la nostalgia discreta dei passi leggeri, silenziosi e provvidenziali di suore operose e solerti. Inutile fu richiederle alle varie congregazioni religiose già affette da una graduale e crescente penuria di vocazioni.
Lo Spirito Santo aveva bussato da sempre alla porta di S.E. Mons. Alberico Semeraro, che gli aveva aperto e gli si era offerto come tabernacolo fecondo, affidandogli la dimora e la coltivazione delle zolle del suo tempo. Nella fiducia totale e senza riserve di quell’animo fertile come terreno in attesa di semina, tra varie cose mirabili, lo Spirito Santo tracciò le linee di un disegno semplice, umile e magnifico allo stesso tempo: la nascita delle Oblate di Nazareth.
Mons. Semeraro concepì l’idea di una nuova congregazione di suore. Chissà quante volte girò e rigirò quell’idea nella sua mente, immaginando il profilo spirituale di quelle future spose di Cristo che avrebbero dovuto essere “nel mondo ma non del mondo”!
I semi dello Spirito Santo contenuti in quell’idea si moltiplicarono come un alveare di luce e, d’improvviso, non appartennero più soltanto a Mons. Semeraro: debordarono e si sparsero tra le anime sensibili che vigilavano in attesa della chiamata dello Spirito Santo.
Da contrade e paesi vicini giunsero a Mons. Semeraro le ancelle del Signore pronte a vivere secondo la sua parola e a seguirlo fino alla fine dei loro giorni in obbedienza, castità e laboriosità.
Nel 1953 nacque, con Statuto provvisorio, la famiglia religiosa che, in un futuro non lontano, avrebbe preso il nome di Oblate di Nazareth. Le prime umili, forti, stoiche e tenaci creature votate a Dio che presto avrebbero preso quel nome ebbero come prima dimora un ricovero simile a quello che accolse la nascita di quel Bambino Gesù che esse si accingevano a servire con amore assoluto: una stalla.
Nei locali piccoli e bui ricavati nell’antica casa degli animali, le prime volontarie si avviarono a divenire Oblate di Nazareth; là si educarono ai precetti divini, innalzarono al cielo le loro prime lodi a Dio, fortificarono la loro fede e il loro amore e posero le basi di quella che sarebbe divenuta una congregazione poliglotta e multietnica rivolta al mondo.
Lo Spirito Santo aleggiava su di loro e costruiva scale invisibili di luce attraverso le quali quelle umili ancillae Domini potevano raggiungere ed essere raggiunte. Fu così che il Vicario Generale Mons. Raffaele Perrone giunse alle prime Oblate di Nazareth come una presenza ineccepibile, discreta, riservata e disponibile, una guida paziente e un maestro di precetti divini, un indimenticabile padre spirituale; fu così che la signora Carolina Strafella fece dono a Mons. Semeraro di una bella dimora per le Oblate.
Lo Spirito Santo…
Lo Spirito Santo, l’Amore tra il Padre e il Figlio, la potenza più dolce e più inarrestabile di Dio, è il fermento che schiude i semi nella terra buia e li trasforma in tripudi fruttuosi e rigogliosi, è il brusio degli alveari e dei pescheti in fiore, è il gorgoglio delle acque trasparenti, è il bene che lievita nel silenzio delle menti e dei cuori, è la Divina Provvidenza che non conosce riposo.
L’uomo non è nulla senza lo Spirito Santo ed è grande con Lui. Con lo Spirito Santo tutta la fragilità e l’impotenza della natura umana svaniscono; con lo Spirito Santo l’impossibile diviene possibile; nella luce dello Spirito Santo l’uomo esperimenta le meraviglie di Dio. E molte sono le meraviglie di Dio che lo Spirito Santo ha reso visibili attorno alle Oblate di Nazareth.
Se Gesù ha compassione della cecità umana e mormora l’evangelico “effeta”, ogni essere umano può riacquistare la vista, essere in grado di vedere le piccole cose che in realtà sono spesso dei veri e propri miracoli accecanti, stupirsi e gioire della bellezza e sapere che il suo cuore esiste per innalzare lodi perenni al Signore, Padre Celeste di ogni creatura.
Nell’obbedienza silenziosa con cui le Oblate di Nazareth sono approdate alla loro vocazione e hanno visto dipanarsi il loro sentiero quotidiano, lo Spirito Santo ha scolpito la volontà di Dio, apponendo la sua firma divina su passi, gesti, parole e preghiere delle umili serve del Signore.
Da prima che Mons. Semeraro fosse, l’idea della nascita delle Oblate era nello Spirito Santo. Il cuore di Mons. Semeraro le fece da grembo e la partorì con tutte le caratteristiche della sua levatura morale, civile e religiosa fuori dal comune. Possa questo eccelso fondatore dell’Istituto delle Oblate vivere nella luce e nella beatitudine eterna, accompagnato dal ricordo imperituro e dalla preghiera continua sulla terra.
La prima casa di Nazareth e Betania delle Oblate, quella che lo Spirito Santo fece giungere in dono, fu in piazza Lama. Quella casa fu come una bandiera. Soltanto tre religiose vi si trasferirono all’inizio, perché le altre erano impegnate come api operose in S.Cosimo, nell’Episcopio, nel Seminario, a svolgere i lavori più umili, a sfamare e dissetare, a rassettare e a trasformare i luoghi di culto in tempio di bellezza, di raccoglimento e di preghiera.
Quella prima casa fu come il nido addetto alla schiusa delle uova, anche se le novizie operose ancora non sapevano come, dove e da dove il buon Dio le avrebbe chiamate. Mons. Semeraro chiese e ottenne che suor Agostina Bolzani Angelica di S. Paolo, della casa S.Eligio di Napoli, venisse inviata a Oria per presiedere alla preparazione delle future suore. Ella fu l’insegnante paziente e amorevole che, con impegno costante e regolare programmò e realizzò i corsi di formazione che avrebbero condotto le novizie alla consacrazione.
Non era che l’inizio dell’avventura delle Oblate di Nazareth e non erano che 7 le novizie coraggiose che la cominciavano, lasciandosi sedurre dal richiamo di Gesù di Nazareth e cingendosi i fianchi per seguirlo senza domande e senza pretese fin dove Egli avrebbe voluto condurle.
Nessuno sapeva che Gesù le avrebbe chiamate da altri continenti e in altri continenti, neppure Mons. Semeraro che, dopo aver assicurato alle novizie un’adeguata formazione, si impegnò nella stesura delle necessarie costituzioni.
Era il 1954. Con l’assenso della Sacra Congregazione dei Religiosi in Vaticano, Mons. Semeraro emise il decreto del caso e la famiglia delle Oblate vide la luce come Pia Unione.
Nel 1956, il 2 luglio, nel santuario di S.Cosimo, le prime 7 novizie fecero la loro Professione temporanea.
Che evento memorabile! Se potessimo paragonarlo a uno dei momenti della maternità, quello sarebbe stato il momento della nascita. Sì, le Oblate nacquero quel giorno, anche se il disegno della loro nascita era germogliato molto tempo prima, poiché senza la Professione una suora non è una suora e rimane soltanto la crisalide della sposa di Gesù che avrebbe dovuto diventare.
Tutte le anime belle che rispondono alla chiamata della vocazione sono come pietre preziose ancora grezze e abbisognano di lavorazione prima di brillare come gemme. I primi riflessi di luce quelle gemme li emettono alla Professione temporanea. A quei riflessi dà maggiore luce la professione perpetua, ma la luce accecante di tutte le sfumature dell’arcobaleno le gemme la emettono sottomettendosi allo scalpello divino e alla cesellatura del suo divino volere, lungo tutto il durare dei loro giorni terreni nella risposta quotidiana e mai appariscente al volere di Dio.
La schiusa delle uova era iniziata in quella prima casa-nido delle Oblate!
Nel 1957 altre nove suore fecero la Professione temporanea; nel 1958 dieci; nel 1962 tre e nel 1963 due.
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I tempi cambiavano intanto e ciò che le suore sapevano fare e insegnare nella loro casa non era più sufficiente. I tempi in cui alle donne bastava saper cucinare e ricamare erano finiti, come i tempi in cui i figli seguivano i padri e ne continuavano il lavoro. Iniziava il tempo in cui lo studio non era più soltanto appannaggio dei figli dei ricchi e la società assumeva un assetto diverso, in cui le nuove generazioni aspiravano alla scolarizzazione e le istituzioni dichiaravano guerra all’analfabetismo.
La comunità delle Oblate, che aveva assunto l’aspetto di un alveare operoso, come oro duttile e prezioso si adeguò alla società e si accinse a dare alle sue suore gli strumenti adatti ad interagire con il mondo esterno.
Alcune giovani suore furono trasferite a Bari, per frequentare l’Istituto Magistrale, corsi di economia domestica e altre specializzazioni. Era il tempo in cui l’economia domestica era materia di insegnamento nelle scuole. Quant’acqua era passata sotto i ponti dal tempo in cui alle donne leggere, scrivere e far di conto non era né utile né necessario!
Le Oblate di Nazareth seppero cogliere i segni dei tempi e, avvolgendosi nella scia luminosa della Sacra Famiglia, camminare con essi.
Per le suore di questa congregazione, la Sacra Famiglia era, è e sarà la stella cometa cui volgersi per la direzione da seguire sempre e comunque, nei tempi belli e nei tempi brutti, nelle imprese facili e in quelle difficili, tra le messi facili da mietere e, soprattutto, tra le messi in cui il nome di Cristo le pone “come agnelli tra i lupi”.
Le OBLATE, magnifiche umili creature di Dio, serve del Signore, chiamate per divina vocazione e per libera scelta a imitare i 3 grandi personaggi di Nazareth hanno saputo vivere amorevolmente la propria consacrazione senza mai dimenticare di essere a servizio del prossimo e delle umane esigenze.
Da allora e a ogni risveglio della loro vita industriosa, ispirano il loro operato alla Sacra Famiglia e ad essa si volgono per insegnamento, incoraggiamento ed esempio ininterrotto. Da ognuno dei membri della Sacra Famiglia giungono alle Oblate insegnamenti infiniti.
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Da Gesù le Oblate imparano il nascondimento e l’obbedienza. Ma, forse, è meglio dire che cercano di imparare… Dire guardo Gesù e imparo a vivere come Lui può sembrare un’espressione corretta ed è, invece, un paradosso: Gesù, il figlio di Dio, il Re dei re, l’Alfa e l’Omega, la via, la verità e la vita, è una figura così gigantesca che ogni piccolo essere umano ne dovrebbe rimanere inondato e stravolto nel senso più grandioso del termine. Il solo nome di Gesù è così grande che i cieli tutti e l’intero universo non bastano a contenerlo. Gli esseri umani dovrebbero impiegare giorni e mesi a cercare di contenere la luce e la grandezza che la sola pronuncia del suo nome sprigiona e rimanere rapiti nel tentativo di contenere la gioia straripante derivante dalla contemplazione della bellezza e della grandezza di quel nome. San Francesco rimase sveglio e in estasi un’intera notte, cercando di pronunciare la parola P-a-d-r-e, incapace di contenere la gioia sconvolgente che lo avvolgeva alla consapevolezza del significato di quella parola. L’implicazione della sua figliolanza nei confronti di Dio era una scoperta magnifica a livello così sommo che lo trafiggeva nell’anima e nel corpo. Quando si pensa alle stimmate, si pensa a una sofferenza dello spirito così profonda da migrare nelle carni, ma le stimmate hanno soprattutto il risvolto dell’Amore e le stimmate del poverello di Assisi erano anche e soprattutto trafitture d’amore, di quell’Amore con la A maiuscola che può venire solo da Dio e può appartenere soltanto a Lui. L’Amore divino, quello che è luce incontenibile e purezza immacolata, è talmente inarrestabile e possente da confinare con il dolore. A chi si lascia sedurre dalla figura umile, magnifica e silenziosa di Gesù che cammina e camminerà per sempre accanto a tutti e a ognuno, senza nulla chiedere e tutto dando fino alla morte in croce, quell’Amore non può passare inosservato. Pochi sono gli eletti che tale Amore ospitano nel petto nella sua totalità e nella sua possanza, perché quegli eletti devono rinuciare a se stessi e abolire ogni barriera fino ad abbattere le pareti della propria individualità e fino a farsi squarciare il proprio cuore. Vivere sulle orme di Gesù vuol dire prendere tra le braccia ogni giorno che nasce e consacrarlo a Gesù con trepidazione e amore, come se fosse un neonato a Lui caro, un figlio sul quale Egli ha molti progetti.
Ogni nuovo giorno è per le Oblate un’occasione in cui chiedersi che cosa il buon Gesù vuole da loro e dove trovare la risposta se non nell’esempio magnifico della vita di Gesù stesso? Questo è un progetto ambizioso nell’ascesa dello spirito di chi intraprende la vita religiosa; è il progetto più ambizioso a memoria d’uomo, perché Gesù è il figlio di Dio e Dio stesso ed è la perfezione. Seguire le sue orme per l’essere umano è uno scopo che, oserei dire, va al di là delle sue capacità terrene, a meno che egli non sappia di essere meno di nulla e di poter osare il volo verso l’infinito se soltanto il figlio di Dio posa lo sguardo sulla miseria e sulla sua impotenza. L’umiltà è tutta qui, nella consapevolezza imperitura di essere particelle invisibili e insignificanti dell’universo e nel voler mettere la propria piccolezza impotente nelle mani del figlio di Dio e di Dio stesso. La piccola suora che a capo chino si reca a ricevere il Santissimo, ripete un gesto quotidiano che è sempre nuovo e sempre immenso e che si dilata in uno spazio interiore senza limiti, dove l’emozione è una marea e i pensieri si focalizzano in due concetti-chiave: Signore, chi sei Tu… e chi sono io….
In maniera semplicistica e rudimentale, si può dire che le Oblate di Nazareth, come tutti i cattolici consacrati (e come tutti i Cristiani dovrebbero fare), seguono le orme di Cristo sulla terra e improntano la propria vita ai suoi insegnamenti. Nella realtà di ogni vita individuale e di ogni mente, ciò ha sfaccettature senza numero e dai risvolti numerosi come le stelle del cielo. Quanti pensieri-ego, quante sensazioni, quanti bisogni, quanti reclami dell’io deve tacitare ogni creatura umana prima di divenire una suora! Quanti segnali del corpo e della mente deve cancellare e ignorare, quanti aspetti della propria personalità deve sfaccettare o, meglio, lasciar sfaccettare allo scalpello dello scultore divino! Quante parole in meno deve dire e quanti embrioni di idee deve precettare per non opporre resistenza a quel divino scultore! Quante barriere deve evitare di erigere nel suo cuore e quante ne deve abbattere per far posto a ogni consorella, a ogni uso del pronome noi al posto del pronome io, a ogni suono del telefono altrui, a ogni richiesta di apertura della porta dell’anima e di quella della casa comune! Quanti venti avversi deve vincere prima di poter sorridere a chi le vuole bene, a chi le sta antipatico, a chi le rende la vita difficile o anche impossibile, a chi la ostacola e persino a chi le fa del male! Quante scale deve costruire per raggiungere le tante sorelle e i tanti fratelli nei livelli più disparati del suo giorno umano e negli anfratti più impensabili della mente e del cuore! Quante parole deve limare e quante deve evitare di partorirne nel gioco infinito delle umane condivisioni- comunicazioni e nel pellegrinaggio quotidiano degli sguardi, delle frasi, dei passi, dei gesti e dei sentimenti! Quanti richiami-richieste-invocazioni a Gesù deve evitare di disegnare sulle labbra, negli occhi, sul volto e nei gesti, per giungere al prossimo come l’Amore di Dio e per rivolgerglisi come a Dio stesso! Quanti sorrisi deve coltivare con la linfa di lacrime che non devono sgorgare! Quanti inni di Lode deve cantare anche quando non ha più voce ed è a corto di fiato! E quante volte, sentendosi inadeguata, deve imparare a ricominciare d’accapo, ricordando a se stessa che errare è umano e che accettare di sbagliare fa parte dei tagli necessari all’opera che la propria anima deve diventare nelle mani di Dio.
Eppure, proprio quando la piccola oblata si annienta totalmente e crede di non avere più nulla di suo, si accorge di possedere il mondo intero, perché quel Gesù cui si rivolge in ogni giorno della sua vita, per insegnamento e guida, le restituisce in proporzioni oceaniche tutti i doni più belli da lei ricevuti.
Più si fa piccola e più Gesù la rende grande, più si fa umile e più Gesù la onora, più si fa da parte e più Gesù la gratifica, proprio come il commensale evangelico che, sedutosi all’ultimo posto, viene invitato a sedere al posto d’onore. Ma non sono gli onori umani e le ricchezze le cose cui l’oblata di Nazareth aspira. I suoi tesori risiedono nell’umiltà e nell’obbedienza.
E come potrebbe essere diversamente? Se Gesù, il personaggio più dolce e più grande della Sacra Famiglia, il re dei re e Dio stesso, non ha fatto che vivere in umiltà e in obbedienza assoluta e totale al Padre, fino a lasciarsi crocifiggere, coloro che a Lui hanno deciso di consacrare la propria esistenza non possono che seguirne l’esempio.
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A Maria le oblate si volgono per chiedere illuminazione e aiuto nella difficile opera di educazione dell’ego all’ascolto della divina parola, di comunione di vita con Gesù, di preghiera incessante, di umiltà. Che programma ambizioso e grandioso! Che impresa difficile e ardua da realizzare! Già educare l’io individuale all’ascolto è impresa simile a una scalata quasi impossibile, poiché molti sono gli spigoli della propria volontà da smussare, molte sono le porte da aprire per scasso nei muri già duri degli egoismi radicati e profondi, molti sono gli sterpi da sradicare per far posto al suono della parola divina e ai suoi semi benefici da trasportare lontano, molti sono i sentori sbagliati da esorcizzare per individuare i volti e le labbra umane attraverso cui il Padre, il Figlio e lo Spirito parlano, molte sono le reazioni e le sensazioni da ricacciare indietro per sgomberare la strada al richiamo divino. Imparare l’ascolto della Parola Divina è impresa che dura l’intera vita e che soltanto l’esempio luminoso della Vergine Maria può rendere possibile. La materia che imprigiona lo spirito rende difficile la percezione dei messaggi ultraterreni. Il corpo, che è fatto di materia appunto, ha bisogno di esempi concreti cui ispirarsi. Quale esempio più luminoso e più bello di quello di Maria! Il suo capo chino, nell’accettazione suprema della volontà di Dio è poesia e grazia, il suo “fiat” senza condizioni e senza esitazioni è di un’assolutezza tanto disarmante da risultare sconvolgente. Ed è a quel modello eccelso che le Oblate ispirano la loro vita, è a tale esempio di “ascolto della Divina Parola” che indirizzano i cuori umani appesantiti e resi sordi dai carichi intrasportabili dei ‘se’ e dei ‘ma’ delle contingenze terrene.
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La Comunione di vita con Gesù è un altro obiettivo ambizioso che la vita delle Oblate si propone e che non può essere disgiunto dalla figura magnifica della Santa Vergine Maria, la madre di Gesù, colei che lo ha dato alla luce e che è stata per lui l’amore di Dio sulla terra, il calore, la comprensione, la vigile solerzia e l’ascolto rispettoso e costante.
Comunione di vita con Gesù è Comunione con i suoi sentieri evangelici fatti di accettazione e di obbedienza, di ‘ora et labora’, di mani tese verso il fratello che cade e che chiede aiuto, di tenacia e di coraggio, di semplicità e di benevolenza, di prontezza e di umiltà, di incedere simile a quello della luce che insegue e fuga le ombre. Comunione di vita con Gesù è, dunque, comunione con coloro che sono Gesù sulla terra. Per le Oblate Gesù sulla terra è la consorella che vive, lavora, respira, pensa e prega al suo fianco, la consorella simpatica e quella antipatica, la consorella dotata di acume e di perspicacia e quella dal quoziente intellettivo meno brillante, la consorella silenziosa e obbediente e quella più esuberante, la consorella ascetica e quella meno incline all’adorazione ma piena di altre buone qualità; Gesù sulla terra sono la consorella che fa da punto di riferimento e che si aspetta di essere ascoltata; la Superiora, la madre generale, il Vescovo, il papa; Gesù sulla terra è il prossimo vicino prima di quello lontano; Gesù sulla terra è chiunque bussi alla porta della casa di Nazareth o alla porta del cuore di ogni singola Oblata. Tutto ciò che l’Oblata fa, ogni passo, ogni gesto, ogni azione rientra nella luce della Comunione di vita di Gesù, perché Gesù sulla terra è negli esseri umani, negli eventi e nelle cose che costellano l’arco dei giorni, come la stessa vita dalla nascita alla morte. Come pensare di aspirare a tutto ciò senza l’esempio luminoso di Maria, la Vergine magnifica che, in comunione armoniosa col suo divin Figlio, lavora e tace, nell’umiltà più completa e più grandiosa che mai sia stata concepita poiché è accettazione indiscussa e resa totale e pacifica al volere di Dio. Comunione è accettazione, ma l’accettazione è tale quando sgorga da un cuore pervaso dalla pace e non dal tormento. Comunione è fiducia serena. Maria che recita il suo “Fiat” è l’esempio più bello e più grande di Comunione che ci sia, quel Fiat che è una preghiera inimitabile e stupenda.
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La preghiera…, l’arma in battaglia per le piccole Oblate sparse per il mondo: da chi impararla se non dalla Vergine Maria? Il Rosario della Santa Vergine ne è l’emblema e le Oblate ne fanno la via incessante di ogni loro destinazione, il crocevia iniziale e finale di tutte le direzioni dei loro passi e dei loro pensieri quotidiani. Senza la preghiera non vi sarebbe ascolto della Parola Divina, né Comunione di vita con Gesù, né obbedienza a Dio e a quanti lo rappresentano sulla terra. Senza la preghiera l’anima diverrebbe un deserto arido e sordo alla voce del Padre e l’umiltà perderebbe il profumo buono della bontà e dell’assenza di boria, di presunzione e di egoismo.
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L’umiltà, l’altra grande virtù che le Oblate imparano dalla Vergine Maria, è per la vita consacrata quello che il sale è per il pane ed è per la vita di tutti un dono grande che fa la differenza tra coloro che formano il tessuto connettivo del mondo e coloro che amano apparire e vivere in realtà da parassiti. “Sono la serva del Signore…” disse Maria all’Angelo e condusse una vita sempre operosa e mai pigra e inattiva, inchinandosi al volere di Dio senza protestare, senza indagare, senza lunghe disquisizioni, senza sofismi o arzigogolamenti inutili e tediosi, senza riserve e senza richieste-ricompensa-vantaggi-rassicurazioni. “La serva del Signore” si definì Maria, non la figlia, la seguace, la sposa o altro. La serva è colei che a capo chino si presenta al suo signore e a capo chino lo serve, senza mai ribellarglisi, senza mai discuterne gli ordini, senza mai tradirlo e mai abbandonarlo, senza mai mancare ai doveri nei suoi confronti. La serva è colei che sa sempre qual è il suo posto e che porta avanti il suo lavoro con fedeltà sicura e costante e con la piena consapevolezza dei suoi limiti. La grandezza della serva di Dio sta proprio nella sua umiltà. L’umiltà che dà alla Santa Vergine il fascino della violetta tanto più profumata quanto più nascosta è proprio la parentela più stretta che la lega alle Oblate di Nazareth
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Da lui, dal padre terreno di Gesù più di una lezione giunge alle Oblate di Nazareth. Egli è un perfetto modello di umiltà, accettazione, bontà, prontezza e di qualsiasi altro buon esempio domestico un padre possa rappresentare. Ma San Giusepppe non è soltanto questo. Egli è il padre terreno che Dio ha scelto per suo figlio… e questo fatto da solo è un inter romanzo… Perché lui, che c’era di speciale in lui… Era il fatto che lui era lo sposo promesso della Vergine Maria? Sicuramente sì, ma c’era molto di più… Egli era una persona speciale, pacifica, dal cuore buono, che ospitava la pace nella sua anima… San Giuseppe aveva un’anima che faceva da casa alla pace… Rare sono le persone che fanno da casa alla pace, davvero rare, perché l’anima dell’uomo è mutevole ed è attraversata da lampi di sentimenti incostanti, spesso irrazionali e permeati di antipatie e risentimenti che scacciano la pace e rendono il cuore dell’uomo inquieto e refrattario alla luce e all’amore di Dio. Un’anima abitata dalla pace più lineare e trasparente che si possa sognare è una sorgente di acqua pura nella quale l’amore di Dio può soggiornare, moltiplicarsi ed espandersi in modo tanto più bello, costante e e crescente quanto più l’anima ospitante ne è inconsapevole.
San Giuseppe era un buono, un semplice, un uomo dalla natura pacifica e dolce refrattaria al rancore, all’inquietudine e agli umori mutevoli, era un santo… Il suo cuore era l’habitat ideale dell’Amore, quello da scrivere a lettere maiuscole perché viene da Dio, quello che rende il cuore degli uomini ignaro delle antipatie, delle inimicizie, dei ricatti, delle brutture e dell’odio. Il cuore di San Giuseppe era un cuore pieno della bontà che è giusta e retta e che è tanto semplice da sconfinare nell’nnocenza. Ed è l’innocenza che fa da specchio a Dio sulla terra…, l’innocenza vera, quella pulita e pura che viene direttamente da Dio e che non conosce gli artifici della furbizia, della finzione e dell’inganno. L’innocenza è il terreno su cui fiorisce la vita dell’anima che si dona a Dio e che non conosce le vie traverse e corrotte del male. L’innocenza è perché non sa di essere ed è il bene più grande che l’uomo possa albergare nel suo cuore-anima. Essa abita i cuori-anima che non sanno di albergarla ed è come un lago di luce che dorme nel profondo e che permea di caldi riflessi tutto ciò che transita nelle conoscenze, negli affetti e nella vita di coloro che hanno un cuore-casa dell’innocenza. Il male teme quei cuori-anima e ne sta lontano, perché la sola vicinanza ai loro possessori è per esso causa di malore e di disperazione.
San Giuseppe era possessore di un cuore-anima così ed era, perciò, un personaggio circondato da un’aura di bene così forte e indisturbata da influssi malefici che, al suo passaggio, il male era costretto a rintanarsi nei meandri più bui e nascosti del creato. Ci si può meravigliare, dunque, se Dio lo ha scelto come padre terreno di suo Figlio? Nessuna meraviglia… San Giuseppe è stato scelto da Dio dal tempo dei tempi. Prima che il tempo fosse egli era già nella mente di Dio come uomo giusto, semplice, retto, lineare e buono e come colui che avrebbe recitato senza saperlo un fiat non meno magnifico e bello di quello di Maria… Minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese il giovane, gagliardo e sano Giuseppe il Falegname ha amato e atteso in silenziosa accettazione e con amore la nascita del figlio di Dio, curandone la gestazione con rispetto infinito e con tenerezza senza parole; accettando il ruolo marginale e secondario, che lo voleva accanto a Maria, Colei che era stata prescelta come madre, Colei che al figlio di Dio prestava il suo corpo, il suo sangue, il suo respiro, il suo cuore, tutta se stessa…
Non aveva scelto di vivere una vita religiosa San Giuseppe. Egli aveva scelto di vivere una vita normale, come tutti gli artigiani che conosceva, ma il volere di Dio aveva deciso per lui altrimenti ed egli ha piegato il capo di fronte al volere di Dio, rinunciando all’amore terreno, alla famiglia terrena che aveva sognato di crearsi, alla normalità quotidiana che aveva creduto di possedere e che il volere di Dio aveva stravolto completamente. Con semplicità e senza lamentarsi, in un silenzio che ancora grida forte la magnificanza di quella fede partorita dalla bontà e dall’accettazione più straordinaria mai esistita, San Giuseppe ha accettato il volere di Dio e vi si è uniformato… Nessuno ha mai sentito parlare di sofferenza e di ribellione da parte di san Giuseppe, nessuno ha mai pensato che egli potesse avere motivo di sofferenza e di delusione, nessuno si è mai preoccupato dei sogni nfranti di San Giuseppe o dei suoi sentimenti feriti, perché San Giuseppe ha saputo essere la presenza sicura e serena che, come una roccia, ha fatto scudo a Maria e al Bambino Gesù e che nulla della sua umanità ha anteposto a quelle due Creature straordinarie…
Eppure San Giuseppe era un falegname normale che avrebbe potuto avere una vita normale… Come un fulmine a ciel sereno, il volere di Dio ha squarciato l’orizzonte della sua vita, affibbiandogli un ruolo che lo onorava, sì, oltre ogni dire, ma che gravava anche su di lui, come un’impresa più grande della sua stessa umanità… Se proviamo ad immaginare un qualunque promesso sposo di quel tempo, che attende con ansia di convolare a nozze, possiamo capire quali potessero essere le sue aspettative immediate e quali quelle future. E poi quell’annuncio…, improvviso…, grandioso…, soprannaturale…, più grande di lui e più grande di tutto… sconvolge tutto ciò che egli era, è e sarà…
Mai avverrà che egli concepisca un figlio suo. Mai avverrà che egli conosca donna. Mai avverrà che egli formi una famiglia con prole numerosa, com’era consuetudine dei tempi. Mai avverrà che egli realizzi i sogni su cui aveva contato quando aveva combinato il matrimonio con la fanciulla più bella e più casta che sia mai esistita. Ma, senza un lamento, egli piega il capo e accetta ipso facto di vivere in castità per tutta la vita e di prendersi cura con pudore e riservatezza della purezza accecante della sua sposa. La comunicazione indiretta ricevuta da San Giuseppe avrebbe sconvolto chiunque: egli avrebbe dovuto sposare una Vergine già madre e avrebbe dovuto essere padre di un figlio non suo ma di Dio e che era Dio stesso. C’era di che sconvolgere la mente umana: La sua sposa era Vergine eppure aveva concepito un figlio e quel figlio sarebbe stato umano e soprannaturale, uomo e Dio allo stesso tempo! Le teologie e le filosofie si sarebbero arrovellate su questi misteri per secoli, ma la mente semplice e buona di San Giuseppe, in virtù della sua natura innocente, seppe farsi oceano e cielo e albergare la trsparenza di quei misteri con immediatezza trasparente e con l’accettazione immediata che è tipica dei santi umili e nascosti del creato. Il fiat silenzioso che San Giuseppe non ha mai recitato grida dal silenzio dei secoli, con una musicalità lungimirante e grandiosa che oltrepassa tutte le barriere e che dice:
Signore, il Tuo volere è legge e ad esso io sempre m’inchino,
come fanno il sole, la luna e le stelle del cielo, come fa il mare grande e misterioso
e come fanno la notte, il giorno, la luce, il buio e le stagioni.
Non sono niente e ti offro il niente che sono.
Quel niente è polvere, se Tu non lo abiti, ed io ti prego di abitarlo sempre.
Se quel niente aveva pensieri e sentimenti, li doveva a Te, Signore Potente del creato;
se essi erano estranei alla Tua gloria, versa nel mio niente i sentimenti e i pensieri
che possano cantarti Lodi da ogni respiro mortale che li genera.
La Tua volontà sia fatta, non la mia, Signore degli eserciti, dei cieli e dei mari,
Signore dei fiori belli e delle albe lucenti, Signore dei cuori trasparenti e
dei bambini senza peccato.
La mia vita ti appartiene da prima che fosse e non sta a me donartela, mio Dio e Signore,
ma fa’ di me il tuo servo e, a capo chino, mi cingerò i fianchi e seguirò
i passi che il piede Tuo Divino vorrà imprimere sulle strade polverose
di Nazareth, della Galilea e di tutti i luoghi a Te cari.
Fammi degno di vegliare su Tuo Figlio, onnipotente Dio,
dammi pensieri-voce per le lodi da cantare dentro il cuore.
Dammi un cuore meno terreno e fammi umano quanto basta
per sapere che io sono niente e Tu tutto, Signore…
Per ciò che ero, sono, sarò ti rendo lode, grande Re dei re,
poiché al niente hai dato volto, parola e cuore.
Ciò che quel niente dovrà essere
progettalo Tu, Signore, perché sia degno di essere
posto a custodia e cura del Tuo Figliolo sulla terra…
E… grazie, mio Signore, ancora e ancora e per sempre,
di avermi pensato e di avermi onorato tanto…
La Divina Provvidenza è Dio sulla terra… Quel Dio Padre buono, misericordioso, giusto e onnipresente, che ha creato ogni uomo e che di ogni uomo sa e sente tutto, non abbandona le sue creature a se stesse e le segue da vicino anche quando esse non lo sanno e non lo immaginano affatto…
La Divina Provvidenza è lo sguardo di Dio sempre vigile e presente, è il cuore di Dio sempre pieno di amore e di attenzione, è la persona di Dio sempre in cammino e sempre accanto a ognuna delle sue creature, è la voce di Dio sempre mormorante nelle orecchie dei suoi figli ovunque sparsi, è il calore del suo amore sempre avvolto attorno ai suoi figli, è la sua mano sempre tesa e forte che afferra chi cade e lo rimette in piedi. La Divina Provvidenza non ha gambe eppure cammina sulla terra, non ha braccia eppure sostiene chi la invoca, non ha bocca eppure parla a chi la interroga, non ha occhi eppure vede tutto e tutti…
La Divina Provvidenza non delude mai chi ne chiede l’intervento con cuore scevro da storture-egoismi e raggiunge coloro che hanno fede pura e sincera, servendosi di luoghi, cose, eventi e persone illuminate e abitate dalla grazia di Dio e dallo Spirito Santo.
La Divina Provvidenza ha sempre avuto un ruolo primario nella vita delle Oblate di Nazareth, sin da prima della loro nascita.
Sulle Oblate Essa vigila e alita da sempre in vari modi e sotto varie forme, anche prendendo l’aspetto umano degli Angeli Custodi di turno.
Molte sono le persone di cui la Divina Provvidenza si è servita, per rendere possibile la nascita della congregazione delle Oblate di Nazareth, la sua crescita e la sua vita quotidiana. Molti sono i volti che hanno sorriso e parlato alle Oblate, senza sapere di fare da specchio alla Divina Provvidenza, e molti sono ancora oggi coloro che alla Divina Provvidenza prestano le sembianze, per accorrere in aiuto delle Oblate di Nazareth.
Su ognuna delle prime postulanti Oblate, la Divina Provvidenza ha posato la chiamata di Dio, nel cuore di ognuna delle prime novizie e suore Oblate ha inserito il seme buono e fruttifero della parola di Dio; nel cuore di ognuna delle postulanti, delle novizie e delle suore Oblate, per cinque decenni ha rinnovato e ancora oggi continua a rinnovare quel miracolo meraviglioso.
Ognuna delle prime magnifiche suore, dalla tempra fisica e spirituale forte ed eroica ha incarnato il volto delle Divina Provvidenza, in quelli che furono gli albori della congregazione nascente di queste suore speciali, e ognuna di loro meriterebbe di essere citata e immortalata su un albo d’oro, ma ciò è valido per ogni postulante, novizia e suora nuova che si aggiunge alla grande famiglia delle Oblate di Nazareth e, poiché è impossibile tenere aggiornato un elenco sempre in crescita, per grazia della Divina Provvidenza, lasceremo che tali nomi restino incisi come gioielli senza prezzo nella mente di Dio.
Ci sono, dei volti umani che hanno incarnato la Divina Provvidenza e che Le hanno reso possible raggiungere le singole piccole suore sparse, riunendole, come un piccolo grande gregge, sotto il richiamo di Gesù.
Il primo Volto umano, attraverso cui la Divina Provvidenza ha concepito e partorito la congregazione delle Oblate è stato quello del defunto Monsignor Semeraro. Il suo carisma innegabile e la sua grande fede continuerà a farsi tramite delle Divina Provvidenza, per le Oblate, anche dalla casa del Padre. Le Oblate sanno di avere in lui una raccomandazione in Paradiso.
Molti sono i volti umani con cui la Divina Provvidenza ha raggiunto le Oblate, innumervoli come le stelle del cielo, e tutti li affidiamo all’Amore di Dio.
Ci sono figure di cui la Divina Provvidenza si è servita, per rendere possibile l’impossible.
Quando madre Semira Carrozzo partì per la Nigeria, non immaginava neanche lontanamente che il buon Dio l’avrebbe usata come incarnazione della Divina Provvidenza. Nulla e nessuno facevano supporre che una cosa straordinaria come il Nazareth Convent e la Nazareth School sarebbero sorti sotto il cielo di Kaduna… Lei fece un sogno, in cui i piani di Dio e della Santa Vergine erano delineati e in cui la mente ignara non seppe vedere che nebbia, al momento. Poi il Nunzio apostolico la aggregò a un viaggio pastorale e madre Semira si trovò catapultada là dove la Divina Provvidenza la chiamava. Un campo qualsiasi, incolto e abbandonato, le mostrò il profilo ideale dei piani di Dio, in cui l’immagine bella della Santa Vergine campeggiava… La moltiplicazione dei pani e dei pesci di quel progetto ambizioso, nato dal poco e lievitato nel molto, era cominciata… la Divina Provvidenza, da sempre al lavoro, soffiò nel cuore di madre Semira, attorno a lei e su quel progetto…
Dal campo delle sterpaglie nacquero meraviglie… Il convento di Nazareth, con la sua grande scuola, si è riempito di suore e di bambini e, come un alveare meraviglioso, si industria nelle Messi di Dio…
Che trionfo splendido della Divina Provvidenza!
E come non citare l’altro volto della Divina Provvidenza, in altro luogo, altro emisfero, altro continente…: il volto di madre Dolores de Padova, che in Brasile ha reso possibile la nascita di un altro luogo come la Nazareth school, in cui la parola di Dio viene divulgata a bambini e adulti e in cui la coltivazione delle anime è un vivaio continuo e miracolosamente rigoglioso.
E il miracolo della Divina Provvidenza è sempre al lavoro, nel nascondimento umile e silenzioso delle anime belle che Le prestano le membra e i volti e che raggiungono i luoghi e i cuori e che rendono possible la crescita delle famiglie di Nazareth. Così è stato e così sarà, per queste suore che Dio ama e che, attraverso la Divina Provvidenza, seguirà da molto molto vicino, soffiando sul loro operato, come calore benedetto sul pane messo a lievitare… E nuovo fermento crescerà sempre, nuove porte si apriranno, come la Little Bethlem in Kaduna; nuove latitudini accoglieranno queste ancelle del Signore intrepide, coraggiose e sempre solerti e pronte al richiamo del Buon Pastore, come pecorelle amate-amanti e ubbidienti.
A lettere d’oro sono disegnati nella mente di Dio i volti che hanno reso possibile la nascita di una casa di Nazareth anche in India.
E le case di Nazareth si sono moltiplicate anche in Italia (Alberobello, Martina Franca, Roma…), facendosi famiglia per coloro che hanno nostalgia dell’amore di Dio e che lì lo trovano negli sguardi puliti e buoni delle dolci Oblate.
La Madre Generale, madre Filomena Gallo prima e ora madre Dolores De Padova, si è fatta e contiua a farsi volto delle Divina provvidenza per tutte le case di Nazareth e per ognuna delle suorine che in esse perpetuano il miracolo dell’ora et labora.
Suor Concepita De Padova, la persona più semplice e più umile che la crosta terrestre abbia mai ospitato, continua ogni giorno a farsi volto della Divina Provvidenza, accanto al pentolone sul treppiedi, sotto il capanno che, nella calura africana, fa da cucina industriale per più di cinquecento bambini. Il suo volto, l’espressione del suo sguardo, la sua persona sono, per ogni bambino la cosa più vicina che ci sia alla Divina Provvidenza che cammina, poiché la Divina Provvidenza aiuta quando sfama e giunge amata e benedetta quando tende il pane… Madre Semira, che corre dappertutto, provvedendo a qualunque bisogno del Convento e della Scuola, che torna stracarica di ogni ben di Dio, ogni giorno, è l’incarnazione della Divina Provvidenza per tutti gli sguardi che la seguono…
A tutti i volti della Divina Provvidenza che qui non sono stati citati, un ritratto d’oro è riservato nel cuore di Dio e della Santa Vergine e anche nell’umiltà del mio piccolo e indegno cuore di carne umana…
Quando la Divina Provvidenza ha un volto umano… rendiamo grazie a Dio e innalziamogli lodi, perché grande è l’Amore con cui Egli ci chiama e con cui aspetta di sentire la nostra flebile voce rispondergli dagli anfratti di questo mondo confuso e disordinato. Quando il cuore è triste e sentiamo che Dio è lontano, guardiamo gli occhi di chi ci passa accanto: essi contengono la Divina Provvidenza che cerchiamo e aspettano quella che noi alberghiamo…
1-Amarcord: “Mi ricordo…”/titolo preso in prestito dal famosissimo film di Fellini